LA FILOSOFIA ITALIANA E IL
NEOIDEALISMO DI CROCE E GENTILE
di Enrico Galavotti
(testo tratto dal sito
dell’autore HOMOLAICUS)
Quadro
storico
L'unificazione nazionale italiana è
avvenuta nel 1860, tardi rispetto agli altri paesi europei (se si esclude la Germania). Essa ebbe due principali
caratteristiche: fu un movimento popolare rivoluzionario e si concluse con il tradimento della borghesia, che volle
realizzare il compromesso con l'aristocrazia e la monarchia. La questione
agraria, soprattutto al sud, rimase irrisolta e anzi si aggravò, determinando
la spaccatura fra un nord industrializzato e un sud sottosviluppato. La
borghesia, consapevole di questa contraddizione, aveva bisogno di un sistema ideologico-filosofico cui poter fare riferimento per
giustificare i rapporti sociali esistenti. Questo sistema venne
trovato nel neoidealismo di Croce e Gentile.
Quadro
culturale-filosofico
a) La filosofia all'inizio del
XIX secolo
Le dottrine filosofiche che in
Italia hanno dominato nella prima metà del XIX sec. sono state quelle a sfondo
religioso. Gli esponenti più importanti sono stati A. Rosmini
(1797-1855) e V. Gioberti (1801-52). Essi
capeggiarono il cd. movimento cattolico-liberale (o
neoguelfismo). Nelle loro vedute politiche e nella loro attività (soprattutto
in Gioberti) vi furono alcuni momenti positivi per le
condizioni italiane di quel periodo (ad es. le tendenze antifeudali e quelle
favorevoli al movimento di liberazione nazionale, la lotta antigesuitica ecc.),
ma le loro concezioni filosofiche sono del tutto conservatrici, specie quando
hanno per oggetto le riforme borghesi. Essi infatti
tendevano a rafforzare l'influenza della filosofia cattolica (ovviamente in
parte riveduta e aggiornata) contro il materialismo francese e la dialettica
hegeliana. Nelle concezioni di Rosmini, in
particolare, la linea platonico-agostiniana si univa
con elementi kantiani (nesso filosofico, questo, che si ritrova nel fondatore
dello spiritualismo cristiano, A. Carlini). Rosmini
si sforzava anche di sottolineare la vicinanza delle
concezioni agostiniane con le idee tomistiche (cosa che è caratteristica di un
altro spiritualista cristiano contemporaneo, M. Sciacca). Rosmini
non negava le classiche "cinque vie" di Tommaso per dimostrare
l'esistenza di Dio, ma preferiva attribuire maggiore importanza al percorso del
soggetto verso l'assoluto, sulla base di una sintesi
della concezione agostiniana dell'"illuminazione" e le idee
dell'apriorismo. L'idea dell'essere è a priori nel soggetto in
quanto risultato dell'illuminazione divina.
L'influenza di Gioberti
sul pensiero religioso dell'Italia contemporanea è inferiore a quella di Rosmini. Egli tuttavia merita d'essere ricordato perché ha
cercato di reintrodurre il tema della dialettica nell'ambito della filosofia
cattolica. Rifacendosi a Platone e alla filosofia cristiana medievale, Rosmini ha sostenuto due tesi: 1) una vera dialettica deve
fondarsi sull'idea della creazione, sull'idea della
causa; 2) una vera dialettica è la pacificazione dei contrari che scaturisce
dall'atto della creazione. In pratica il tentativo di trasformare la dialettica
in un'ancella della teologia escludeva dall'essere la lotta dei contrari e l'automovimento.
b) Il pensiero progressista
nell'epoca del Risorgimento
Nel periodo 1830-60 la filosofia
italiana e il pensiero politico ufficiale si evolse
sotto l'influsso del movimento di liberazione nazionale. In questo periodo vi
furono vari pensatori progressisti come Pisacane e i rappresentanti del primo
positivismo italiano: C. Cattaneo (1801-90) e G. Ferrari (1811-76). Essi
appartenevano all'ala repubblicano-democratica del
suddetto movimento e avanzarono idee progressiste come ad es. la concezione
della rivoluzione sociale, l'idea della natura sociale
dell'uomo, il nesso tra lo sviluppo della civiltà e la struttura materiale
della società, tra la produzione e i rapporti tra le classi. Inoltre
manifestavano idee chiaramente antiteologiche, sulla scia del loro maestro G.D. Romagnosi, contro le dottrine
di Rosmini e Gioberti.
Sulle loro concezioni hanno esercitato un influsso significativo
gli illuministi francesi, i sensisti francesi del XVIII sec. e inoltre Vico, Hegel, Saint-Simon.
c) L'hegelismo napoletano
L'indirizzo filosofico più significativo della metà del secolo scorso, che ha
esercitato la maggiore influenza sul pensiero filosofico italiano del XX sec.,
è stato il cd. "hegelismo napoletano". Malgrado
il suo moderatismo politico generale, malgrado il fatto che non sia diventata
la concezione del movimento democratico italiano, questa corrente fu, in parte,
una delle forme in cui si espressero le forze progressiste.
La scuola hegeliana è comparsa in
Italia relativamente tardi (alla fine del 1830) e la sua fioritura va posta in
quel periodo in cui in Germania l'hegelismo era già stato superato dal
marxismo. L'hegelismo napoletano, quindi, non era una novità a livello europeo,
ma nella sua "ala sinistra" diede contributi di notevole valore. Praticamente dalla sinistra hegeliana napoletana (F. De Sanctis, gli Spaventa, S. Tommasi
e altri) è nato, da un lato, il pensiero progressista e marxista italiano,
cominciato con A. Labriola, e dall'altro, è nato l'idealismo neohegeliano, di
natura profondamente conservatrice.
Questa contraddittorietà negli
sviluppi della scuola hegeliana napoletana è stata oggetto
di accese controversie. Gli idealisti neohegeliani (Croce e Gentile) faranno di
tutto per dimostrare d'essere gli unici eredi di questa sinistra, della quale
però vorranno ignorare gli elementi più progressisti e materialisti (che dalla
sinistra però erano stati elaborati in maniera assai poco
sistematica). Elementi, questi, che invece vennero
colti dai filosofi marxisti, i quali cercarono di dimostrare come il percorso
più significativo del pensiero italiano non andasse da De Sanctis
a Croce ma da De Sanctis a Gramsci.
La sinistra dell'hegelismo
napoletano cercò di superare l'interpretazione dogmatica dell'hegelismo,
collegando le costruzioni speculative con la vita. In pratica essa riproduceva
il processo avvenuto in Germania: l'hegelismo diventava fruttuoso solo per
coloro che lo superavano in direzione del materialismo. A dir il vero De Sanctis (1817-83), che è l'esponente di maggior spicco, si
rifaceva di più al realismo filosofico e scientifico di Bacone, Locke, Hume e degli enciclopedisti, convinto, in tal modo,
di potersi liberare dalle idee teologiche e retoriche. Tuttavia, nella sua
critica dell'hegelismo egli ha espresso molte idee che lo avvicinano al
marxismo (ad es. quella per cui l'hegelismo è volto al passato e non al
futuro). La sua opera principale resta La Storia della
letteratura italiana.
Un carattere più accademico ha
invece la filosofia di B. Spaventa (1817-82), che per molto tempo si soffermò
sull'immanentismo idealistico, poi sviluppato dal neo-idealismo di Croce e
Gentile. Ma nell'ultimo periodo della sua vita,
Spaventa accentuò motivi antropologici, naturalistici e materialistici,
avvicinandosi alla filosofia di Feuerbach. Il suo
rapporto col materialismo era abbastanza tradizionale, poiché ne conosceva solo
la variante matafisica e meccanicistica. Tuttavia
egli arrivò col rifiutare l'idea della priorità assoluta dello spirito e
preferiva collegare indissolubilmente natura e spirito in un'unica sostanza,
assegnando però all'aspetto materiale di questa sostanza un aspetto
subordinato. Per lui insomma la dialettica dello spirito restava la forma
superiore di dialettica, ma a condizione che essere e pensiero marciassero insieme, nell'ambito del pensiero. L'influenza
di Fichte era evidente. Da questi elementi,
tendenzialmente soggettivistici, prenderà poi le mosse la filosofia di Gentile,
che sarà appunto una variante dell'immanentismo idealistico in chiave
soggettivistica.
d) La linea
marxista di A. Labriola
Chi meglio
ereditò e sviluppò le concezioni della sinistra hegeliana napoletana sulla
negazione dell'autonomia dello spirito dalla natura, sul collegamento della
filosofia con i problemi concreti della vita, sul rifiuto d'interpretare il
metodo dialettico come mero strumento per verificare l'esistente (e non anche
per modificarlo), sulla conciliazione del pensiero colla realtà di fatto, sulla
generale direzione illuministica, umanistica e anticlericale che andava data al
pensiero filosofico italiano - fu A. Labriola (1843-1904), che è il maggior
filosofo italiano della fine del XIX sec. inizio XX. Egli è stato il primo e
per lungo tempo l'unico teorico del marxismo italiano. Quando i lavori di Marx ed Engels erano quasi
sconosciuti al pubblico italiano e quando fu possibile averne una conoscenza,
regolarmente solo di seconda mano, attraverso le
trattazioni travisate dei suoi avversari (come ad es. Croce e Gentile), oppure
attraverso le volgarizzazioni ancora peggiori delle idee marxiste da parte di
A. Loria, E. Ferri e altri - solo le opere di
Labriola seppero introdurre in modo coerente, nella vita intellettuale
italiana, le idee del materialismo storico e del socialismo scientifico, tanto
che tutti gli sviluppi ulteriori del pensiero borghese italiano non furono che
una ininterrotta polemica contro queste idee. (Da notare che Labriola ebbe come
allievo Croce).
e) L'egemonia del positivismo
Tuttavia la corrente che negli
ultimi decenni del secolo scorso s'impose nella cultura italiana (e borghese)
fu il positivismo. Si badi però: il tardo positivismo italiano non ha nulla a
che vedere con il primo positivismo di Cattaneo e Ferrari, in
quanto che esso preferisce ricollegarsi al positivismo francese e
inglese (soprattutto a Spencer), nonché al materialismo meccanicistico di Moleschott. Il culto della scienza aveva preso ad unirsi al dilettantismo, il fenomenismo a costruzioni
universali ingenue; ad una primitiva schematicità meccanicistica si
accompagnava la feticizzazione del fatto particolare;
all'idea del sistema compiuto della conoscenza scientifica faceva seguito una
grossolana tendenza anticlericale. Inoltre questo positivismo univa motivi democratico-socialisti con l'opportunismo e
un'interpretazione eclettica del marxismo.
Questa forma superficiale di
positivismo, debole sul piano metodologico, non poteva reggere il confronto
all'inizio del XX sec. con il neoidealismo di Croce e Gentile. Alla sua fine
naturalmente contribuì anche la svolta reazionaria intrapresa dalla borghesia
che da un lato si sentiva minacciata dal crescente proletariato e dall'altro voleva avventurarsi nella strada dell'imperialismo. La
limitatezza di questo positivismo si manifestò anche nel fatto che alcuni
esponenti passarono nelle file dell'idealismo e addirittura nel misticismo
religioso (Tarozzi, Marchesini e altri).
Il rappresentante più significativo di questa corrente fu R. Ardigò (1828-1920)
che unisce un'interpretazione soggettivo-idealistica
del mondo (inteso come unica realtà psicofisica) con una rappresentazione
meccanicistica della natura naturans (la natura autocreantesi all'infinito). Per Ardigò la natura procede
in modo omogeneo e uniforme, assolutamente determinato, senza salti,
dall'amorfo indifferenziato e semplice al differenziato
e complesso, ove la varietà e la forma delle cose sono il risultato della
semplice azione reciproca. Uomo, società e pensiero non sono
che gradi naturali indispensabili dell'armonia meccanica del cosmo,
senza alcuna vera specificità.
Accanto al meccanicismo fioriscono
nel positivismo italiano (ma anche in quello europeo) diverse varianti di un biologismo volgare. Ad es. la teoria
della predisposizione bioantropologica alla
criminalità di C. Lombroso. La criminalità sarebbe determinata non da
condizioni sociali, dall'influenza dell'ambiente, ecc, ma esclusivamente da un
fattore ereditario contro cui il soggetto e l'ambiente
sono impotenti.
Idee simili le formulò
anche E. Ferri che fu uno dei dirigenti e teorici principali del partito
socialista italiano all'inizio del secolo. Egli era un eclettico di tendenze
positiviste che risentì fortemente l'influsso del materialismo volgare. Il
marxismo, per lui, non era che un completamento
sociologico dell'evoluzionismo di Darwin e Spencer (ad es. la lotta di classe
non è che una forma di selezione naturale). Ferri in pratica riduceva
le leggi storico-sociali a leggi naturali e interpretava quest'ultime in
termini esclusivamente sociali. Il socialismo italiano, fino alla I guerra
mondiale non ebbe alcun teorico marxista di rilievo, eccettuato Labriola. Dopo
la morte di quest'ultimo esso cadde per più di un decennio sotto l'influenza di
concezioni riformiste e anarco-sindacaliste
(conseguenza del fatto che in filosofia s'era lasciato
influenzare dal tardo positivismo).
f) L'ideologia religiosa
all'inizio del XX secolo
La borghesia abbandonò il
positivismo nel primo decennio del XX sec., diversamente da quanto stava
accadendo nel resto dell'Europa. Di fronte a sé non aveva molte alternative: una di questa era la filosofia religiosa. Il
positivismo infatti risultava del tutto inaccettabile
ai vecchi gruppi politico-religiosi collegati colla chiesa cattolica. Inoltre
il positivismo era stato accettato dal nascente socialismo italiano (se si
esclude Labriola).
Tuttavia, il
compromesso ideologico, all'inizio del secolo, non poté essere raggiunto
neppure sulla base dell'ideologia cattolica, per via delle tradizioni anticlericali del
Risorgimento, non ancora dimenticate dalla borghesia, abituata a considerare il
Vaticano come un nemico dell'Unità e Indipendenza italiana. Questo però non
impedirà alla borghesia di simpatizzare, già verso la fine del XIX sec., per le
dottrine irrazionalistiche e mistiche in funzione antisocialista.
Dal canto loro, gli esponenti del
movimento cattolico più lungimiranti tentarono di democratizzare la politica e
l'ideologia ecclesiastiche per realizzare meglio il compromesso con la
borghesia (si pensi alla nascita del movimento cattolico e più tardi del
partito popolare). Ma la curia papale non vide mai di
buon occhio questi tentativi (essa ad es. represse brutalmente il cd. movimento
"modernista"). Solo a partire dall'enciclica
di Leone XIII, Rerum novarum (la prima delle
encicliche sociali), la chiesa, riconoscendo il tomismo come propria filosofia
ufficiale e accostandosi per la prima volta alla questione operaia e alle
libertà borghesi, iniziò a percorrere la strada del rinnovamento interno, anche
se il neo-tomismo non ebbe influenza sensibile -nonostante il suo razionalismo
e naturalismo- sulla filosofia italiana.
Sul piano della filosofia religiosa
ebbero senz'altro maggiore importanza alcuni sistemi oggettivo-idealistici
"non ortodossi", come quelli di B. Varisco
e soprattutto P. Martinetti. Quest'ultimo, in particolare, propendeva per il
panteismo idealistico, considerando Dio come "ragione infinita" o
"principio universale unificatore del mondo" e inoltre, a differenza
dell'altro, fu un fiero avversario del fascismo.
In ogni caso, nessuna corrente
della filosofia religiosa fu in grado di colmare il vuoto aperto dal crollo del
positivismo. Così, altre correnti cercarono di inserirsi nel dibattito di
quegli anni: quelle irrazionaliste e nazionaliste (che condurranno
all'ideologia fascista), quella neokantiana e quelle soggettivo-idealistiche.
g) Il pragmatismo in Italia
Per un certo tempo ebbe un certo successo il pragmatismo, diviso in due tendenze abbastanza
diverse. La prima, di G. Vailati e M. Calderoni, era
vicina alle posizioni di Peirce, Berkeley
e Mach, ed era caratterizzata da una spiegazione meramente strumentale delle
leggi delle scienze naturali e sociali, che hanno un significato solo nella
misura in cui sono efficaci come mezzo di previsione: cioè il significato di
qualsiasi conoscenza, processo, ecc. del presente sta nella sua realizzabilità
nel futuro.
In particolare Vailati
(1863-1909) formulò idee che anticiperanno quelle del Circolo di Vienna. Egli infatti avanzava l'esigenza di verificare i significati dei
concetti scientifici, cioè la loro fondatezza e quindi comprensibilità, e a
tale scopo poneva il problema di come creare un linguaggio comune, che andasse
aldilà di quello ordinario, spesso fuorviante ai fini della scienza. Senza
analisi linguistica era per lui impossibile uno sviluppo del pensiero
scientifico. Le sue idee però ebbero un'influenza del
tutto insignificante, soprattutto dopo l'affermazione dell'idealismo neohegeliano.
L'altra tendenza pragmatista è
collegata ai nomi di G. Papini e G. Prezzolini e alla rivista "Il Leonardo", da essi pubblicata nel 1903-7 (cui
collaborarono anche Vailati e Calderoni). Si trattava
di un indirizzo meno scientifico, più pseudorivoluzionario.
Essi proclamavano la distruzione della vecchia filosofia e la costruzione di
una "filosofia dell'azione", volta a
trasformare il mondo. In realtà tale filosofia non faceva che anticipare, con
la sua retorica e demagogia, le idee e la politica del fascismo.
Papini e Prezzolini divulgarono il
pragmatismo anglo-americano. Le loro idee individualiste e irrazionaliste erano
vicine alla filosofia di James e Schiller. Per loro
il pragmatismo non era che un metodo di azione e di
vita, compatibile con qualunque filosofia e religione. Essi
infatti negavano qualunque posizione gnoseologica o etica, tranne lo
strumentalismo utilitaristico (ogni teoria può essere trasformata, se questo è
utile). Col tempo, Papini si volse alla religione e alla mistica; Prezzolini
passò all'idealismo neohegeliano e al completo nichilismo.
Nel complesso il pragmatismo può
essere considerato un fenomeno alquanto transitorio in Italia. Il carattere
estremista, frammentario e superficiale delle concezioni di Papini e Prezzolini
non poteva soddisfare l'intellighenzia borghese, alla ricerca di una forma
sintetica di sistema ideologico. Mentre l'altra tendenza pragmatista era per la
borghesia troppo accademica e astratta. Il pragmatismo tornerà di moda in
Italia dopo la II guerra mondiale, con l'influenza delle idee di Dewey e naturalmente con la caduta del neohegelismo, che
avverrà tra il 1940 e il 1950.
Il
neoidealismo italiano
Le classi dirigenti italiane
riuscirono a trovare il compromesso ideologico, all'inizio del secolo, nel neoidealismo
hegeliano di Croce e Gentile. Si trattava di un sistema elaborato e
qualificato, la cui sostanza consisteva: nella lotta contro il materialismo e
il marxismo, nella giustificazione del sistema sociale esistente,
nell'unificazione di diversi indirizzi ideologici conservatori,
nell'affermazione della cultura borghese laica ma non anticlericale.
Il neohegelismo sorse alla fine del
secolo scorso in Inghilterra, ma solo in Italia manifesterà un'influenza così
generale sulla cultura nazionale. Negli altri paesi fu soltanto uno degli
indirizzi filosofici, spesso neppure quello fondamentale, mentre in Italia si
trasformò, nel giro di pochi decenni, da fenomeno esclusivamente filosofico a
"egemone" della cultura e dell'ideologia borghesi.
B. Croce (1866-1952) e G. Gentile
(1875-1944) determinarono la struttura di tutta la
scuola italiana, l'organizzazione delle facoltà universitarie, la fine del
pensiero e della ricerca scientifici, hanno diretto influenti riviste di
teoretica, esercitato una forte influenza sull'orientamento della stampa, sono
stati a capo di alcune delle maggiori iniziative editoriali e culturali (si
pensi all'Enciclopedia italiana o ai libri di filosofia pubblicati dalla
Laterza).
Il neohegelismo seppe conciliare i
sentimenti religiosi con l'anticlericalismo popolare, motivi positivistici e
pragmatisti coll'idealimso; si pose a fondamento
teorico-politico del liberalismo con Croce e del fascismo con Gentile, e
dell'imperialismo della borghesia.
Croce
e Gentile: unità e diversità
I punti di fondamentale contatto
tra i due sono:
1) Alla destra di Hegel
Al suo nascere,
il neohegelismo italiano appare subito consequenziale, battagliero, privo di
compromessi. Persino l'idealismo di Hegel, per non
parlare di quello kantiano, viene giudicato dualistico
e incoerente (Hegel ad es. assegnava alla natura una
parte dello spirito). Croce e Gentile si riproponevano
di fondare una filosofia dello spirito puro e conseguente: il primo in forma oggettivo-idealistica, il secondo in forma soggettivo-idealistica. Lo "spirito assoluto" di
Croce si differenzia poco dall'"Io universale" di Gentile. A dir il
vero Gentile cercò di trasformare l'"Io assoluto" di Fichte nell'Io personale (il
"mio io"), ma l'impresa non gli riuscì, temendo egli di cadere nel
solipsismo.
Entrambi negavano risolutamente
l'esistenza del mondo materiale. Lo spirito è tutto il reale e l'unica
filosofia possibile è quella dello spirito -così Croce. Gentile identificava la
realtà con l'Atto (donde "attualismo"). L'Atto è il "pensiero
pensante", cioè processo creativo che avviene in ogni istante, mentre il
reale è il "pensiero pensato", cioè esaurito, pietrificato. Il
pensiero attuale pone tutto nel momento in cui pone se
stesso, non ha nulla di antecendente, non è
oggettivabile, è libero e indeterminabile. L'idealismo è negazione di ogni
realtà che si opponga al pensiero come suo presupposto, ma è anche negazione
dello stesso pensiero quale attività pensante, se concepita come realtà già
costituita. L'idealismo è perenne creatività.
2) La critica delle cosiddette
"filosofie trascendenti"
Dalla posizione di un simile
immanentismo assoluto, l'idealismo neohegeliano attacca il materialismo (specie
quello marxista) e la filosofia religiosa, sulla base della motivazione che
entrambe ammettono l'esistenza di qualche cosa esterno
allo spirito (la materia, Dio), per cui sono trascendenti. La realtà invece va
affermata come spirito e lo spirito coincide col
mondo.
Il tentativo di Croce e Gentile è
dunque quello d'indirizzare contro il materialismo gli
atteggiamenti anticlericali, associando il materialismo a una filosofia
teologica. Tuttavia, se nei confronti del materialismo la loro ostilità è netta
e sempre lo sarà, non si può dire lo stesso nei confronti della religione. In
effetti, sia Croce che Gentile non hanno mai inteso
negare Dio, l'anima o l'immortalità, ma solo la concezione tradizionale,
ecclesiastica di questi concetti. Gentile era attirato dalla considerazione di
un "Dio nel mondo", Croce da quella del "mondo
in Dio". E' peraltro famoso l'articolo di Croce, Perchè
non possiamo non dirci cristiani.
I neohegeliani han sempre ritenuto
la filosofia idealistica come l'autentica religione che libera il cristianesimo
dal primitivo involucro fantastico-mitologico e
ritualistico. Inoltre essi credevano che le religioni tradizionali fossero una
tappa nel movimento dello spirito verso la vera religione. Infine essi
predicavano che la religione negata dal filosofo, in quanto
forma primitiva di coscienza sociale, è indispensabile al popolo. Malgrado
molti loro libri venissero messi all'Indice dalla
chiesa, i neohegeliani contribuirono a rafforzare le posizioni della religione
nella società. Croce e Gentile introdussero, p.es.,
nelle scuole l'insegnamento obbligatorio della religione. E così, nonostante
l'accanita polemica con la chiesa e la critica della religione ufficiale, il
neohegelismo ha nel complesso predicato il passaggio del pensiero borghese
dall'anticlericalismo volgare della fine del secolo scorso alle posizioni dell'ideologia religiosa. Non a caso la maggior parte dei
rappresentanti dello spiritualismo cristiano sono stati in passato allievi di
Gentile.
3) La critica della scienza
La negazione della realtà del mondo
materiale e della natura ha portato logicamente alla negazione del valore
teoretico delle scienze naturali, che vengono
considerate, d'ora in avanti, su un piano meramente convenzionale, strumentale,
pratico-utilitaristico. Sotto questo aspetto, il
neoidealismo italiano ha ripreso le tradizioni del pragmatismo e si è inserito
tra quei sistemi filosofici antiscientifici d'inizio secolo, come il bergsonismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lo
spiritualismo cristiano... Per Croce e Gentile, Hegel
avrebbe dovuto negare qualunque valore alle scienze naturali e alla matematica.
La vera scienza è solo la filosofia idealistica.
In particolare, Gentile includeva
la scienza ora in uno ora nell'altro dei due momenti
inferiori della triade: arte-religione-filosofia; e
la escludeva dalla sfera della conoscenza vera e propria, concreta, sintetica.
Sia Gentile che Croce ritenevano la scienza
un'elaborazione astratta, analitica, diretta a un oggetto irreale. La
conoscenza vera è l'autocoscienza dell'io. La scienza
produce solo "pseudo-concetti", aventi carattere
pratico-mnemonico, utili strumenti per la generalizzazione di gruppi o
classi di fatti empirici, ma senza alcun nesso con la realtà. In tal senso, il
neoidealismo si serviva anche del convenzionalismo positivistico di Poincaré, Mach, Avenarius..., venendo incontro alle posizioni della religione.
4) La riforma della dialettica
hegeliana
Base comune in Croce e Gentile di
questa riforma era la critica mossa alla dialettica
hegeliana d'essere astrattamente oggettiva, formalistica, non sufficientemente
speculativa, estesa arbitrariamente all'inesistente mondo materiale e alla
sfera delle scienze naturali.
[Croce] Croce accetta la coincidenza assoluta
hegeliana di realtà e razionalità, di essere e dover essere. La realtà per
Croce s'identifica colla storia, che è storia dello
spirito (storicismo assoluto).
Nella struttura dello spirito Croce
pone una distinzione essenziale tra momento pratico (economia ed etica) e momento teoretico (estetica e logica). La
filosofia è sempre della conoscenza e dell'azione: quella della conoscenza si
serve dell'intuizione (conoscenza individuale immediata che produce arte: il
bello) e della logica (conoscenza universale che produce filosofia: il vero).
La filosofia della pratica invece si serve del concetto di utile quando è
individuale (economia) e del concetto di bene quando è universale (etica).
Croce dunque nega la triade
hegeliana di idea, natura e spirito e afferma solo lo
spirito, che è appunto distinto in una diade: pratica e teoretica. Negando la
triade Croce nega anche la dialettica degli opposti, accettandola soltanto, in
via del tutto formale, all'interno di una medesimo
grado/forma dello spirito (ad es. un giudizio teorico può essere vero o falso),
ma non l'accetta tra i diversi gradi/forme dello spirito (ad es. l'arte non è
il contrario della filosofia). Peraltro l'opposizione all'interno di una
medesima forma/grado implica il condizionamento reciproco dei due termini che
si oppongono, non il superamento dell'uno nell'altro (ad es. non c'è bello
senza brutto).
Non solo, ma i primi due gradi
dello spirito (estetica e logica) sono indipendenti rispetto agli
altri due (economia ed etica). E' piuttosto l'attività pratica che è
condizionata dalla conoscenza che la illumina, e nell'attività pratica
l'economia condiziona l'etica, mentre in quella teoretica l'arte fornisce alla
filosofia il linguaggio, cioè il mezzo della sua espressione. L'indipendenza
implica la diversità, la dipendenza implica l'unità (è
la dialettica dei distinti).
In Croce la dialettica è una
semplice manifestazione del rapporto circolare dalla diversità all'unità. Croce
ha cercato la conciliazione degli opposti proprio per eliminare la funzione
rivoluzionaria della dialettica. Lo sviluppo è per lui un eterno movimento
circolare e non un progresso all'infinito. In tal modo le contraddizioni
storico-sociali non appaiono più come tali, ma come parte di un processo
circolare inevitabile.
[Gentile] Gentile elimina l'opposizione non nel
rapporto tra le forme della filosofia ma all'interno dello stesso soggetto
pensante. Il mondo reale per lui è l'unità assoluta dell'Io
nell'Atto del pensiero. L'oggettività cioè non sta nel pensiero-pensato (che
diviene così oggetto di contemplazione), ma nel pensiero-pensante (che può
essere solo vissuto come autocoscienza del soggetto trascendentale o Io
assoluto). L'Attualismo è la creatività perenne del pensiero che pone se stesso
senza mai oggettivarsi, perché non vuole essere limitato da alcunché.
L'Atto è autoposizione, autoctisi.
Le distinzioni valgono solo per il pensiero-pensato e sono quindi relative.
Assoluta invece è l'unità del pensiero-pensante. (Il
ritorno a Fichte è evidente).
5) La prassi mistificata
Il neohegelismo italiano ha
esordito criticando non Hegel ma Marx:
Croce con Materialismo storico ed economia marxista (1900), Gentile con La
filosofia di Marx (1899). Entrambi hanno ripreso il
concetto marxiano di "prassi" e l'hanno rielaborato mostrando che la
loro riforma, in realtà, aveva per oggetto la dialettica hegeliana. Tuttavia,
prima di riformare la dialettica hegeliana, essi han dovuto rivedere la prassi
marxista, che di quella dialettica pretendeva d'essere lo svolgimento più
coerente.
Sia Croce che
Gentile, in questo senso, comprendono perfettamente che la dialettica non può
essere astratta e contemplativa (come finiva appunto col diventare in Hegel non volendo questi accettarne le conseguenze più
rivoluzionarie). Filosofia e prassi per il neoidealismo vengono a coincidere.
In Gentile ciò avviene nell'Atto di un pensiero che pensa se stesso; e in questa autoesaltazione mistica dell'Io, Gentile arriverà a sostenere
il volontarismo irrazionalistico del fascismo (vedi il suo culto idolatrico per
il duce e per gli istinti irrazionali delle masse).
In Croce la soluzione è meno
semplicistica e più contraddittoria: egli accetta la categoria marxiana di
"prassi" ma la riferisce esclusivamente all'attività economica
(all'utile), non a quella politico-rivoluzionaria. La prassi non
è che una delle manifestazioni dello spirito e in questo senso non è la
filosofia che deve "inghiottire" la storia -dice Croce, riferendosi a
Gentile-, ma il contrario. Per Croce il concetto di prassi si risolve nello
storicismo assoluto, cioè la storia diventa il deus ex-machina
in grado di risolvere ogni contraddizione (di qui la sua teoria del
provvidenzialismo). Tuttavia, Croce ha sempre negato ogni importanza ai fattori
materiali, produttivi, della storia.
6) Altri aspetti
6.1) La
teoria dell'arte
[Croce] Il primo momento dello spirito universale
è l'intuizione, ma questa è veramente estetica solo quando ha un principio
vitale che l'anima: il sentimento. La vera intuizione non è
sensazione/percezione ma espressione pura, profonda, senza predicazioni logiche
o astratte. Il risultato è il prodotto artistico.
L'intuizione esclude la distinzione
tra realtà e irrealtà. L'arte non ha nulla a che fare con l'utile, il piacere,
il dolore, la morale, la buona volontà, la religione, il mito. Scopo dell'arte
è la bellezza: essa è quindi assolutamente autonoma. L'arte è sempre intuizione
lirica perché prodotto sintetico a priori di sentimento e immagine. Senza
immagine il sentimento è cieco, senza sentimento
l'immagine è vuota. L'arte non accoglie i sentimenti così come sono, ma li
trasfigura in pura forma, cioè in immagini che rappresentano la liberazione
dall'immediatezza e la catarsi della passionalità.
L'intuizione senza espressione è
nulla. L'espressione tecnica non coincide di per sé con quella artistica.
L'espressione prima e fondamentale è il linguaggio, che non è segno
convenzionale delle cose, ma immagine significante
spontaneamente prodotta dalla fantasia. Poesia e linguaggio si
identificano. Naturalmente l'intuizione estetica ha un carattere di
totalità e cosmicità. Il sentimento guarda l'universo sub specie intuitionis. Ciò che vi è di fondamentale
nell'espressione poetica (che è la più alta forma intuitiva) è il ritmo.
Croce contesta il romanticismo che
insiste solo sul sentimento; il classicismo che insiste solo sull'immagine; il
decadentismo che con la sua formula "l'arte per l'arte"
è vuoto. Delle quattro espressioni possibili: sentimentale, prosastica,
letteraria e poetica, Croce preferisce l'ultima, perché: quella sentimentale è
priva di contenuto, non riuscendo a superare il sentimento (nell'espressione
poetica il sentimento viene espresso insieme alla
forma); quella prosastica è come quella filosofica, dando luogo a simboli o
segni di concetti che non esprimono immagini o intuizioni; quella letteraria si
limita ad armonizzare le espressioni poetiche con quelle non-poetiche
(passionali, prosastiche, oratorie) in modo che quest'ultime non offendano le
altre.
[Rilievo critico] La svalutazione dei fattori
sociali, morali, politici, della comunicazione concreta, delle tecniche
materiali nella comprensione del fenomeno artistico deriva dall'estetica crociana.
[Gentile] Gentile accetta la suddivisione hegeliana
di arte-religione-filosofia per quanto concerne le
manifestazioni dello spirito assoluto. L'arte per lui è il momento della
soggettività, è il sentimento che l'Io trascendentale
ha nella propria soggettività. In questo senso ogni prodotto artistico è una
monade che non ha storia: non ha cioè senso una "storia
dell'arte" poiché non esiste un inveramento
temporale dell'arte. Ogni opera d'arte ha una storia irriducibile a un più
ampio disegno storico.
La religione e la scienza sono
invece il momento dell'oggettività, poiché annullano il soggetto nell'oggetto
(Dio per l'una: dogmatismo; Natura per l'altra: naturalismo). Entrambe vengono superate dalla filosofia che è sapere assoluto,
unica vera realtà autocosciente.
6.2) Teoria
della storia
[Croce] Storia e filosofia coincidono: ogni
racconto o episodio storico include il concetto filosofico; ogni sistema
filosofico aiuta a comprendere la realtà storica. La filosofia è la metodologia
della storia. Individuo e idea non possono essere presi separatamente. La
filosofia tradizionale, per Croce, è morta, essa è risorta nella storiografia.
Nessuna distinzione è possibile tra
fatti storici (significanti) e fatti non-storici (banali), in
quanto non esiste un fattore determinante o prevalente su altri. Nessun
fattore è fondamentale. La storia, come la poesia, la coscienza morale, il
pensiero, non ha leggi, non ha necessità. Ogni ricerca delle cause dei fatti
storici va abolita. Né ha senso una periodizzazione oggettiva del processo
storico. Croce vuole escludere la possibilità della prevedibilità storica, nonché qualunque teoria scientifica dello sviluppo sociale.
Il giudizio storico riguarda solo il passato. La storia è solo una serie di
fenomeni singoli, individuali, irripetibili, una serie
di atti creativi dello spirito universale. L'ordine e l'unità dei fatti storici
sono introdotti dallo storico e pertanto hanno valore solo logico.
Naturalmente Croce non nega alla
storia delle cause specifiche, dice però che tali cause
ci sfuggono. Lo spirito universale è l'unico soggetto-oggetto della storia,
esso ha un piano che può realizzarsi in persone eccezionali, secondo un
criterio di provvidenzialità che ci resta ignoto, anche se l'uomo può sforzarsi
di comprenderlo. Il processo storico, per Croce, è senza persone e senza fatti
salienti che indichino una qualche direzione logica; oppure è un frammentarsi
della storia in situazioni particolari e individuali.
[Gentile] Il concetto di storia in Croce è analogo a
quello dell'Io trascendentale di Gentile. L'Io è l'unica realtà, assolutamente
libera, non condizionata, e non ricade sotto leggi di qualsiasi natura. Gentile
riconosce la realtà del solo momento presente e nega il passato.
6.3) Teoria
dello Stato e del diritto
[Croce] Egli identifica diritto con utilità e forza.
Riconosce l'esistenza di diritti immorali persino ad associazioni delittuose:
il diritto di quest'ultime è subordinato a quello della società poiché la forza
le costringe, ma il diritto resta.
Il diritto non è morale né immorale
ma amorale, in quanto precede la vita morale e ne è
indipendente. Esso è espressione della forza impiegata per raggiungere un
utile. Esso è condizione della morale poiché questa, per esprimersi, si traduce
in utilità e forza.
Lo Stato è l'applicazione del
diritto. Esso si attua nel governo e non se ne distingue. Nello Stato il
consenso è sempre forzato. Morale e politica sono aldilà del bene e del male.
Tuttavia, l'esperienza del regime
fascista e l'opposizione ad esso ha favorito la
trasformazione in Croce del rapporto tra morale e politica. Egli cioè ha
maturato la convinzione che la vita politica deve realizzare un impegno morale
che al suo centro ha l'idea di libertà (religione della libertà).
La stessa concezione della storia diventa quella di una storia
della libertà (che diventa il vero soggetto creativo, ideale morale della
storia).
La libertà però continua a restare
solo quella giuridico-morale o formale, cui Croce non
aggiunge mai quella socio-economica o sostanziale. Non
a caso Croce ha sempre difeso la necessità dei rapporti feudali e semifeudali
nel Meridione, ha sostenuto che nel capitalismo di allora si era raggiunto il
massimo grado di libertà possibile per i lavoratori, ha sempre appoggiato il gerarchismo sociale (solo un'élite aristocratica può
governare), la monarchia e l'uso statale della forza contro le rivendicazioni
dei lavoratori.
[Gentile] Egli afferma l'identità di individuo e
Stato, nel senso che il primo si realizza nel secondo, trovando in questo la
sua ragion d'essere. Economia, diritto e vita politica sono risolti
nell'eticità statuale. Gentile era convinto che con lo
Stato fascista egli avrebbe potuto realizzare la
propria filosofia. Come continuatore della Destra storica (che era caduta nel
1876), il fascismo -secondo Gentile- avrebbe dovuto compiere l'opera del
Risorgimento spiritualista (giobertiano e mazziniano)
che aveva sempre anteposto la patria -secondo lui- all'idolo della libertà (di
qui la religione della patria).
La riforma della scuola fu uno
degli impegni etico-politici più rilevanti di Gentile.
La nuova scuola non doveva essere né confessionale (che educa all'intolleranza)
né laica (che educa all'indifferenza), ma una scuola
che offre un'educazione religiosa nelle elementari e un'educazione filosofica
nei licei, che fosse quest'ultima portatrice di una religiosità immanente,
superiore alla religione tradizionale. Il superamento veniva però riservato ai
pochi che allora potevano frequentare i licei. Questo rapporto ancillare della
religione nei confronti della filosofia deriva dal fatto che Gentile aveva
accettato la posizione di Bruno.
Gentile sostiene anche una netta
separazione tra lavoro intellettuale e manuale.
6.4) Il
rapporto col fascismo
[Croce] Nonostante la decisione di passare
all'opposizione, Croce può essere considerato, non meno di Gentile, un
precursore del fascismo. L'apologia della violenza, delle guerre, del
machiavellismo politico, contenuta negli scritti del periodo della I guerra mondiale rientrò nella dottrina fascista come un elemento
fondamentale. Prima che Mussolini andasse al potere
egli sosteneva la militarizzazione delle squadre fasciste (in funzione
antisocialista), con Giolitti al governo preparò un progetto per la riforma
scolastica (successivamente realizzato da Gentile) che Mussolini definì
"profondamente fascista" nel suo spirito, votò più volte per
Mussolini al senato (anche dopo l'assassinio di Matteotti) e via di seguito.
Se più tardi Croce superò le
proprie illusioni nei confronti del fascismo, ciò non significa che la sua
posizione divenne più progressista. Da un lato infatti
la sua filosofia della "libertà" poteva garantire agli intellettuali
l'ultimo spiraglio di opposizione al regime; dall'altro però la sua posizione
attendista, cioè di astensione dalla lotta attiva contro il regime, la sua
estraneazione nella filosofia astratta, nelle ricerche storiche particolari,
nella speranza di una caduta automatica della dittatura, ostacolarono di fatto
la lotta antifascista. Inoltre Croce fruì da parte del regime di una certa
libertà proprio perché continuò per tutta la sua vita a polemizzare aspramente
con le idee del socialismo.
L'antifascismo
"escatologico" di Croce era, in questo senso, analogo a quello
cattolico, secondo cui la non-adesione doveva servire per evitare che la crisi
futura del fascismo coinvolgesse anche lo Stato monarchico. Si trattava di un
antifascismo conservatore, per il quale il regime autoritario non era che un fenomeno "casuale" nella storia
italiana, destinato a estinguersi da solo. Nell'analisi di Croce mancavano
completamente i riferimenti alle cause storico-sociali che l'avevano generato.
Egli in pratica non aveva aderito al fascismo più che altro per motivi
personali, non ideologici.
[Gentile] Viceversa, Gentile aderì immediatamente al
fascismo e non ebbe mai ripensamenti (sarà ucciso dai partigiani di Firenze per
la sua rinnovata adesione alla Repubblica di Salò). Nonostante ciò e nonostante
ch'egli fosse stato anche ministro del governo di
Mussolini e che la parte filosofica della voce "Fascismo" da lui
scritta per l'Enciclopedia italiana (e pubblicata sotto la firma di Mussolini)
fosse l'esposizione ufficiale più autorevole della dottrina filosofica del
fascismo, Gentile non riuscì mai ad ottenere che le sue idee filosofiche
fossero riconosciute come ufficiali dello Stato.
Queste idee infatti
erano troppo raffinate, ricercate e anche troppo paradossali perché la loro
influenza si estendesse aldilà dei circoli intellettuali. D'altra parte il
fascismo non ebbe mai una propria dottrina filosofica pienamente elaborata.
Essa era composta da idee di vario genere, mutuate da
diverse parti: mistico-religiose, irrazionalistiche, nazionaliste, positiviste,
neohegeliane, sindacaliste, corporativiste, ecc. Gli
immediati ispiratori dell'eclettica ideologia fascista vanno piuttosto cercati
in Corradini, D'Annunzio, Marinetti, il sociologo V. Pareto e altri.
Il fascismo eserciterà maggiore
influenza sulle masse come dottrina mistica e irrazionale, in cui l'uomo è
visto nel suo immanente rapporto con una "legge superiore", una
"volontà obiettiva". Siccome esso si oppose sempre alle correnti
materialistiche dei secoli XVIII e XIX, la sua valorizzazione del pensiero
scientifico fu poco significativa. Questo d'altra
parte permise al fascismo d'ottenere l'appoggio delle correnti religiose
neo-scolastiche e neo-tomiste (Gemelli, Olgiati, ecc)
e spiritualiste cristiane (ad es. A. Carlini), nonché
l'appoggio di quelle irrazionaliste, razziste, ecc.
La miseria ideologica del fascismo
costituiva una delle cause che fece propendere molti intellettuali borghesi per
l'idealismo neohegeliano. A causa inoltre del fatto che tale idealismo tendeva
a isolare ideologicamente la nazione, preservandola dagli influssi stranieri,
ritenuti nocivi in quanto già superati dal
neohegelismo, quegli intellettuali erano convinti di trovarsi al centro di un
grande movimento culturale (un movimento che aveva eliminato dal panorama
culturale italiano intere branche delle scienze umane, come la sociologia, il
marxismo, le indagini sulla logica ecc.). Il ruolo duplice e contraddittorio
del neohegelismo italiano (che permetteva nel contempo
d'essere pro e contro il fascismo) è stato insieme il suo limite e la ragione
del suo successo. Con gli sforzi energici intrapresi per sprovincializzare il
pensiero filosofico e la cultura italiana, il neoidealismo poté attirare nella
sua orbita tantissimi intellettuali che credevano, pur in
presenza del fascismo, di costituire una novità assoluta a livello
europeo. Chi riuscì a comprendere il lato conservatore e passivo di questa
filosofia, o passò all'opposizione antifascista vera e propria, o cercò di
superare i limiti del neoidealismo.
Il
dibattito sul neoidealismo in Italia
L'idealismo di Croce e Gentile
dominò la scena filosofica tra le due guerre: Gentile conquistò soprattutto il
pubblico filosofico, Croce risultò la figura dominante
nel più vasto campo della cultura.
I movimenti filosofici di
opposizione (più o meno forte) a questa corrente
furono: lo spiritualismo di Carabellese, Martinetti e
Varisco; il movimento neoscolastico di Gemelli, Olgiati, Bontadini, Vanni Rovighi (neotomismo); la fenomenologia di Paci (allievo di
Banfi); l'epistemologia di Aliotta che da Napoli
diffuse i temi del neorealismo anglosassone e del pragmatismo; Banfi da Milano
diffuse lo storicismo tedesco, la fenomenologia e l'esistenzialismo; Pareyson e Abbagnano furono gli
esponenti principali dell'esistenzialismo; tracce di anticrocianesimo si
individuano nelle due riviste "La Voce" e "Leonardo"
(Prezzolini, Papini, Serra, Borgese...); un
anticrocianesimo programmatico nella rivista "Cronache letterarie".
Ma lo sbocco privilegiato per molti pensatori di formazione idealistica, quando
l'idealismo entrò in crisi, fu il marxismo di Gramsci, il cui pensiero cominciò
ad essere diffuso dopo la fine della II guerra
mondiale.
Tra i numerosi seguaci di Croce non
ci sono figure di rilievo, anche se ancora oggi l'influenza metodologica delle
sue dottrine si fa sentire nella storiografia, nella critica letteraria, nella
storia dell'arte, nella linguistica. Le idee filosofiche di Gentile hanno invece
continuato ad esercitare un certo influsso nell'ambito
del pensiero filosofico borghese, specie in Gennaro che è approdato a posizioni
solipsistiche, in U. Spirito e G. Calogero, che hanno rappresentato la sinistra
gentiliana approdata al problematicismo e all'onnicentrismo. La sinistra in pratica trasformò l'idealismo
da assolutistico a relativistico. Il neoidealismo continuò a sopravvivere nella
filosofia religiosa di Del Noce, Olgiati, Fabro, Bontadini e altri. Lo
scopo era quello di conservare l'anticomunismo del
neoidealismo abbandonando invece le sue posizioni agnostiche, immanentistiche e
panteiste.
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