LE CLAMOROSE SORPRESE DELL'ETNA: LE PIU' RECENTI
SCOPERTE DEI VULCANOLOGI
di Ignazio Burgio (tratto dal sito dell’autore CATANIACULTURA)
Il fianco orientale dell'Etna
sta scivolando verso il Mar Jonio, spinto dal peso
delle sue masse rocciose e dalla pressione del magma al suo interno: questo in
poche parole quanto hanno accertato in questi ultimi
anni i vulcanologi tramite sofisticate strumentazioni e nuovi metodi di
indagine. Le conseguenze immediate di un tale imponente slittamento sono i
frequenti terremoti che coinvolgono le persone e gli edifici che risiedono
lungo i pendii del vulcano. Ma un domani l'intero fianco dell'Etna potrebbe
crollare come già accaduto 8000 anni fa, allorchè,
probabilmente in conseguenza di una forte eruzione, 35 Km cubi di materiale
vulcanico finirono in mare scatenando uno tsunami così
potente da devastare le coste dell'intero Mediterraneo Orientale. I vulcanologi
tuttavia hanno scoperto ancora altre novità altrettanto inquietanti, ad esempio
sulla natura delle attuali eruzioni, e sulla stretta correlazione tra queste ed i terremoti più vasti che coinvolgono episodicamente
vaste aree geografiche della Sicilia Orientale.
Si pensi ad una torta composta da diversi strati di
pandispagna sopra un precario strato-base di crema, divisa in porzioni, alcune
delle quali leggermente inclinate, tenuta in mano da un bambino il quale per
gioco si diverte a vederla sobbalzare e tremare. L'immagine giocosa diventa
certamente meno divertente se si pensa che grossomodo il nostro vulcano può essere paragonato, per struttura e geodinamica, proprio
a questa torta. Quello che agli occhi di catanesi e turisti può sembrare un
solidissimo e monolitico cono di lava dura come l'acciaio, è in realtà un sistema
di strati geologici sovrapposti e disomogenei, a loro volta attraversati in
senso trasversale – dalle quote più alte fino alla costa – da faglie più grandi
ed altre più piccole, le quali rendono ancora più
instabile vaste zone del vulcano non solo in occasione della spinta del magma e
dei gas in risalita, ma anche per il semplice peso delle rocce sovrastanti.
Questo è il quadro che è emerso in questi ultimi trent'anni dalle ricerche
svolte dai ricercatori degli INGV di Catania, Palermo, Napoli e Pisa, con
l'ausilio di strumentazioni sempre più sofisticate, di
un monitoraggio sempre più stretto, e di nuove metodologie di ricerca, dalle
simulazioni al computer, alle indagini tomografiche
(vere e proprie TAC all'interno dell'Etna).
Da più di mezzo milione di anni a questa parte, il cono dell'Etna si è
progressivamente innalzato su di una intersezione di
faglie che proprio al di sotto del vulcano si incrociano, permettendo così sin
da tempi remoti la fuoriuscita del magma profondo e la costruzione dell'edificio
vulcanico. La zolla continentale africana scorre infatti
al disotto di quella euro-asiatica lungo una linea di faglia che taglia in due
longitudinalmente tutta la Sicilia, ma proprio alla base dell'Etna viene
intersecata dalla faglia Ibleo-maltese che taglia la
Sicilia Orientale lungo una direzione nord-sud, dalle Isole Eolie fino alle
coste ragusane. A ciò si aggiunge un'ulteriore faglia
(Messina-Fiumefreddo) che dalla zona dello Stretto di
Messina giunge fin sotto il nostro vulcano. Da queste fratture multiple nella
crosta siciliana le lave fuoriuscite nel corso delle ere geologiche si sono
sovrapposte su di una base geologica preesistente costituita da sedimenti
argillosi, dunque materiali già di per sé poco stabili che a forma anch'esse di
cono o collinetta costituiscono quasi l'ossatura interna dell'Etna. La
“sommità” di questa “anima geologica” al disotto della parte centrale del
vulcano raggiunge infatti i 1300 metri di altezza, e
sulle sue pendici inclinate poggiano i rimanenti 2000 metri di sovrastanti
strati lavici: per di più mentre i sedimenti argillosi del versante occidentale
hanno una natura quarzarenitico-cristallina, e dunque
sono più stabili, quelli del versante orientale presentano caratteristiche più
limose e friabili, quindi più instabili.
Come molti già sanno, il nostro vulcano ha attraverso diverse fasi geologiche
in queste ultime centinaia di migliaia di anni: la fase delle prime eruzioni
tholeitiche basali a livello del mare, da 500.000
a 220.000 anni fa, rappresentate ancora oggi dal
basamento su cui poggia il vicino castello di Aci; la fase delle Timpe, da 220.000 a 130.000 anni fa a cui
appartengono le scarpate rocciose del litorale di Acireale; la fase del
primo edificio vulcanico vero e proprio nella Valle del Bove, il
cosiddetto Trifoglietto da 130.000 a 60.000
anni fa; la fase del vulcano Ellittico terminata dopo un'intensa
attività esplosiva 15.000 anni fa; ed infine la fase dell'attuale cono
vulcanico, il cosiddetto Mongibello. Tutte
queste fasi hanno generato una molteplicità di strati geologici sovrapposti, lo
studio dei quali non è mai stato facile con i metodi
di ricerca tradizionali, anche perché com'è intuibile questi strati non sono
omogenei all'interno dell'Etna, ma caoticamente disposti, in senso orizzontale
e verticale, in funzione della casualità delle eruzioni. Soltanto in questi
ultimi decenni con l'ausilio di nuove strumentazioni e nuove tecniche di indagine – come si è già detto - la struttura interna del
vulcano è stata finalmente chiarita in maniera sufficiente a dare conto anche
della sua complessa geodinamica. Ciò che hanno potuto osservare in primo luogo
i vulcanologi è la natura anomala della parete
orientale dell'Etna, la quale è delimitata dalla Faglia Pernicana
a nord e dal Sistema di Faglie di Ragalna (o, secondo
alcuni ricercatori, dalla Faglia Mascalucia-Trecastagni)
verso sud, cosa che la rende una sorta di “porzione a se stante” dal resto
dell'edificio vulcanico. Ad una profondità all'incirca
di 1,5 km dalla superficie orientale dell'Etna, il sottostante basamento
argilloso su cui poggiano i sovrastanti strati lavici di questa parete risulta
infatti inclinato di 12 gradi in direzione Est-Sud-Est, e questo può iniziare a
spiegare parzialmente il motivo per cui questa intera porzione orientale
dell'Etna soffre di un lentissimo e costante scivolamento verso il Mar Jonio. Tale dinamica ha una velocità
media pari a 3,3 cm l'anno, anche se in un tratto della Faglia Pernicana, in località Rocca Campana, si è arrivati
a misurare una velocità massima di 6,1 cm l'anno. Essa anche se può provocare
frane è tuttavia priva di fenomeni sismici (tanto da essere denominata in
termini vulcanologici “creep”, o movimento
silenzioso), e viene causata semplicemente dal peso
delle masse rocciose sovrastanti. Il movimento tuttavia non è né lineare né
omogeneo poiché risulta condizionato localmente da
fattori quali l'orientamento dei singoli segmenti delle faglie principali e
dallo spessore variabile dello strato lavico di copertura, elementi questi che
ne determinano direzione e velocità (cfr. Azzaro
R., Mattia M., Puglisi G. - Creep
e cinematica del segmento orientale della Faglia Pernicana
(Monte Etna): integrazione di dati geodetici e strutturali; Bonforte
A., Branca S., Palano M. - Transpressive kinematics in volcanic active areas: the case of the Pernicana Fault System
(Mount Etna, Italy), inferred through
geological and geodetic
data; Foresta Martin F. - L'Etna sta scivolando verso il mare).
Anche l'assetto idrogeologico – che nel versante orientale è più ricco - ha un
ruolo importante in questo lentissimo movimento franoso. Mentre infatti gli strati lavici di copertura assorbono
rapidamente l'acqua, il sottostante sedimento argilloso è invece impermeabile.
Per mezzo di indagini elettriche e magnetotelluriche
nel 2006, i ricercatori hanno potuto accertare appunto la presenza di acque di
scorrimento negli strati profondi della Faglia Pernicana.
Questo significa che le falde acquifere all'interno del vulcano scorrono tra lo
strato lavico e quello argilloso, rendendo quest'ultimo viscido e
sdrucciolevole, e favorendo quindi il movimento franoso del fianco laterale. (cfr. Balasco
M. e altri – Indagini elettriche e magnetotelluriche
nell'area del sistema della Faglia Pernicana (SFP).
In più poiché l'orientamento della base argillosa inclinata non è esattamente
verso Est, ma verso Est-Sud-Est, e le faglie
principali e secondarie hanno orientamento e dinamica complessi, ecco che, per
il gioco delle forze, l'intero fianco orientale subisce anche una sorta di
lieve “rotazione” verso Sud-Est (cfr. Bonforte
A., Puglisi G. - Dynamics of
the eastern flank of Mt. Etna volcano (Italy) investigated by a dense GPS
network; Neri M., Guglielmino F., Rust D. - Flank instability on Mount Etna: Radon,
radar interferometry, and geodetic
data from the southwestern boundary of the unstable sector.)
L'Etna tuttavia non è solo una massa montuosa ma è
soprattutto un vulcano attivo, e la sua frequente attività eruttiva non manca
di dare il suo energico contributo a tutti questi movimenti geologici, come
hanno scoperto i vulcanologi. Normalmente infatti in
qualsiasi vulcano nel corso di una eruzione i gas ed il magma in risalita
premono sulle pareti del condotto vulcanico provocando di conseguenza un
leggero “rigonfiamento” del cono (misurabile naturalmente solo dalle
strumentazioni). Anche sull'Etna nel corso di ogni eruzione le pareti di ogni
versante sono sottoposte ad un certo rigonfiamento;
tutte tranne la parete orientale. Essendo infatti come
una porzione autonoma tagliata dalle faglie, questa non riesce ad avere la
medesima solidità ed elasticità delle altre, e dunque non riesce a contenere
più di tanto la pressione dei gas e del magma in risalita. In tal modo risulta accelerato il fenomeno di distacco e scivolamento
verso il mare di questo lato del vulcano (per un'area complessiva di 700 Km2),
con una velocità misurata dai ricercatori anche di 2 cm al giorno per tutto il
periodo delle eruzioni. A riprova di questo fenomeno i vulcanologi dell'Ingv di Palermo nel corso di ogni
evento eruttivo hanno riscontrato un correlato aumento delle emissioni di gas
Radon e Anidride Carbonica dalle faglie coinvolte, in primo luogo dalla Faglia Pernicana. I ricercatori si sono anche resi conto che
esiste un reciproco condizionamento tra movimenti del fianco orientale ed eruzioni:
più il fianco si sposta più i magmi profondi risalgono più facilmente, e questi
aumentando la pressione sulle pareti dell'Etna, sollecitano ancora di più lo
scivolamento della parete orientale, facendo così ripartire il circolo vizioso. (cfr. Walter
R. T., Acocella V., Neri M., Amelung
F. - Feedback processes between
magmatic events and flank movement at Mount Etna
(Italy) during the 2002–2003 eruption;
Allard P., Behncke
B., D'Amico S., Neri M., Gambino S. - Mount Etna 1993–2005: Anatomy of an
evolving eruptive cycle)
Gli effetti macroscopici di tutte queste potenti
spinte delle forze geotermiche si risolvono soprattutto in una elevata e
improvvisa sismicità del territorio orientale dell'Etna, di magnitudo anche
superiore ai 4 gradi Richter, con frane nel terreno, apertura di crepe
specialmente su strade e muri che attraversano la Faglia Pernicana,
e rischi di danni alle abitazioni e alle persone. Una delle ultime eruzioni,
quella del 2002-2003, è stata accompagnata ad esempio da vistose
fratture lungo tutta la lunghezza della faglia e da spostamenti nel suolo anche
dell'ordine di 2 metri. Ma già fin dai primi anni '80 e per
almeno un decennio fino al 1992, le analisi effettuate nel corso delle maggiori
eruzioni avevano mostrato ai vulcanologi che ogniqualvolta il magma cercava in
quelle occasioni nuove vie di sbocco incuneandosi sotto il fianco del vulcano,
riusciva a spostare vaste aree della parete orientale (Valle del Bove), anche
di 5 o 6 metri, aumentando l'instabilità del ripido versante occidentale della
Valle, e provocando preoccupazione circa il futuro catastrofico collasso di
quell'area. E' stato calcolato che in questi ultimi 17
anni il totale delle frane sismiche e non, hanno provocato danni e
modificazioni al territorio naturale e umano pari a quello di un unico grande
terremoto di magnitudo 5,7 (cfr. Behncke
B. - Morphologic features:
The Valle del Bove; Obrizzo F., Pingue F., Troise C., De Natale G. - Coseismic
displacements and creeping along the Pernicana fault (Etna,
Italy) in the last 17 years : a detailed
study of a tectonic structure on a volcano).
A complicare ulteriormente la geodinamica dell'Etna, intervengono inoltre anche
le numerose faglie più piccole presenti sempre sul fianco orientale ma alle
basse quote, cioè in prossimità della costa (nella zona delle Timpe, dalle parti di Acireale). Queste non di meno dal momento che sezionano la parete est in ulteriori “microporzioni” (che i ricercatori definiscono come
“annidate”) finiscono con l'aumentare l' instabilità di quelle zone che sono
purtroppo quelle maggiormente abitate e frequentate dal turismo stagionale. In
particolare durante le eruzioni, come quella del 2002-2003, esse vengono “messe
in moto”, per un effetto a catena, dalla spinta più
violenta che riceve l'intero fianco orientale, il quale, come è stato accertato
in questi ultimi anni dai ricercatori, continua il suo lento “scivolamento”
anche al di sotto del livello del mare, anche se fino ad ora non è stato
possibile appurare quanto sia profondo. (cfr. Bonforte
A., Puglisi G. - Dynamics of the eastern flank of Mt. Etna volcano (Italy)
investigated by a dense GPS network; Neri
M., Acocella V., Behncke B.
- The role of the Pernicana Fault System in the
spreading of Mt. Etna (Italy) during the 2002–2003 eruption).
E' sottinteso
infine che le antiche faglie tettoniche al disotto del vulcano – i margini tra
la zolla africana, la euro-asiatica, la Ibleo-maltese e la messinese - continuano poi il loro lento
lavoro geologico, fornendo occasionalmente un'ulteriore fonte di sollecitazioni
geo-sismiche e quindi di instabilità. Anzi
ultimamente i ricercatori si sono resi conto che vi è una stretta correlazione
non solo tra l'attività eruttiva dell'Etna ed i
terremoti locali (che in genere precedono o accompagnano le eruzioni), ma anche
con i terremoti più grandi che coinvolgono storicamente l'intera Sicilia
Orientale: più lunghe e intense sono le eruzioni - e più magma viene espulso -
più alta è la probabilità che avvenga successivamente un sisma
proporzionalmente più forte. I serbatoi magmatici immediatamente al di sotto dell'Etna sono infatti a stretto contatto coi
margini delle zolle tettoniche più grandi (la Africana e la Eurasiatica) e nel
momento in cui si svuotano di lava si liberano anche della forza di pressione
che tiene in equilibrio le stesse faglie. Più lava viene
espulsa, più i serbatoi perdono pressione, e più le faglie si muovono generando
terremoti proporzionalmente forti in tutta la Sicilia Orientale. (cfr. Feuillet N., Cocco M., Musumeci C., Nostro C. -
Stress interaction between seismic and volcanic activity at Mt Etna).
Come si vede dunque
l'Etna è un sistema naturale dalla struttura e dalla geodinamica molto
complessa, per lo studio delle quali in questi ultimi
decenni sono state adottate reti di strumenti e tecniche di misurazione che lo
rendono uno dei vulcani più studiati e sorvegliati al mondo. Gli spostamenti
delle faglie e della parete orientale – accompagnati o meno
da eventi sismici – vengono attualmente misurati in primo luogo da una serie di
reti di rilevatori con tecnologia EDM (Misuratori elettroottici di
distanza), aventi una precisione dell'ordine di 5 mm per Km, ed ubicate tra i
1000 ed i 2500 m. di quota nei settori nord-orientali, sud-occidentali e
meridionali dell'Etna. Per lo stesso fine ci si avvale anche della tecnologia GPS
(Sistema di rilevamento satellitare) con una rete di oltre 90
capisaldi distribuiti lungo i fianchi dell'intero cono vulcanico, e raggruppati
in reti più piccole. Sia nel caso della rete EDM come in quella
GPS le misurazioni hanno in genere una frequenza annuale, tranne nel caso della
Faglia Pernicana dove si acquisiscono ogni quattro
mesi data la sua elevata dinamicità. In occasione tuttavia delle eruzioni la
frequenza di misurazione è ancora più stretta fino ad arrivare in alcune zone
all'acquisizione continua dei dati. Questo è anche il caso di un'altra rete di
rilevamento, quella delle 8 stazioni clinometriche in foro, che distribuite intorno al vulcano
con l'asse piantato a 2,5 – 3 metri sul suolo, inviano dati via radio alla sede
dell'INGV di Catania 48 volte al giorno, cioè ogni mezz'ora. Completano il quadro gli strumenti ed i metodi di indagine più
tradizionali, ovvero stazioni sismografiche fisse e mobili, videocamere in
chiaro e a rilevazione termica, strumentazioni geochimiche per l'analisi dei
gas emessi, ecc.
La massa eterogenea dei dati viene quindi elaborata
dai programmi di simulazione al computer, anche con lo scopo primario di poter
effettuare previsioni sempre più accurate circa i possibili rischi vulcanici e
sismici e metterli a disposizione degli enti di protezione civile. I risultati
più clamorosi raggiunti comunque tramite le simulazioni computerizzate in
questi ultimi anni sono stati quelli relativi al
crollo in mare di una parte del fianco orientale dell'Etna 8000 anni fa, con la
genesi dell'attuale Valle del Bove e lo scatenamento di uno tsunami così
potente da devastare le coste di tutto il Mediterraneo Orientale. I ricercatori
dell'INGV di Pisa che si sono occupati della ricerca hanno cominciato a sondare
i fondali del mare antistante il versante orientale
del vulcano allo scopo di misurare esattamente la quantità di detriti – che si
trovano ancora sul fondo – coinvolti nella frana. Una volta stabilito che essi
ammontavano a 35 Km cubi hanno proseguito in laboratorio ricostruendone al
computer gli effetti più verosimili, cioè uno tsunami con onde alte anche 40
metri presso le coste siciliane, insieme ad uno
strascico di sedimenti smossi sui fondali di mezzo Mediterraneo, corrispondenti
per intensità alla forza via via decrescente delle
onde giganti. Confrontando la disposizione simulata dei sedimenti con quelli
risultanti dai sondaggi reali effettuati sui fondali di tutto il Mediterraneo
Orientale, i ricercatori hanno visto che ambedue combaciavano, e dunque che la
simulazione era esatta.
Gli stessi ricercatori tramite l'analisi dei sedimenti marini hanno potuto effettuare altre interessanti osservazioni, un paio delle
quali di ordine storico: lo tsunami etneo sarebbe stato responsabile sia
dell'abbandono di una delle prime città costiere della storia, Atlit-Yam, le cui rovine ora giacciono sommerse
vicino la costa israeliana; sia di molte delle tracce sottomarine che prima
venivano attribuite alla violenta eruzione del vulcano di Thera
(oggi Santorini) e al successivo tsunami, riaprendo così la questione su
quale sia stata l'effettiva entità di quella catastrofe avvenuta intorno al
1640 a. C. Ma l'osservazione più interessante dal
punto di vista puramente geologico ha riguardato l'esistenza di altre tracce – sempre
fra i sedimenti nei fondali del Mediterraneo – di precedenti tsunami scatenati
sempre dal nostro vulcano, prima di quello del 6000 a. C. Il quadro che si
prospetta è dunque quello di una serie continua di crolli del
fianco orientale dell'Etna che si ripetono nel corso dei millenni con
ricorrenza periodica. (cfr. M. T. Pareschi, E. Boschi, M. Favalli,
F. Mazzarini - Lo Tsunami dimenticato; F.
Foresta Martin – L'Etna causò un enorme tsunami 8000 anni fa).
Dunque per il futuro sembra possibile – anche secondo
l'opinione dei vulcanologi - un nuovo evento catastrofico sull'Etna e sul Mar Jonio, soprattutto alla luce della complessa geodinamica di
distacco del fianco orientale che abbiamo già visto più sopra. Ovviamente è
ancora impossibile poterne prevedere con una certa precisione la scadenza –
decenni ? secoli ? millenni? - , e sapere se ed in che
misura potrà essere preannunciato da fenomeni sismico-geologici
evidenti e macroscopici: secondo alcuni ricercatori infatti il semplice
silenzioso fenomeno di scivolamento – il “creep” -
potrebbe essere sufficiente a provocare un inaspettato collasso in mare del
fianco orientale dell'Etna. Ulteriori ricerche
tuttavia sono ancora in corso in questa direzione, volte soprattutto a definire
meglio – e con l'elaborazione di modelli geologico-matematici
sempre più adeguati - quali siano i reciproci condizionamenti tra i diversi
fattori in gioco: faglie, creep del fianco est,
attività magmatica ed eruttiva, pressione dei gas, terremoti locali e
geografici, ecc. (cfr. Puglisi
G., Acocella V. - Hazards related to the flank
dynamics at the Mt. Etna).
I pericoli che potrebbe dare l'Etna in futuro non sono legati solo
all'instabilità del fianco orientale, ma anche ad un mutamento nella natura
stessa delle eruzioni. L'attività eruttiva predominante del vulcano in queste
ultime migliaia di anni è stata di tipo effusivo, cioè caratterizzata da
lave più fluide e poco viscose, che rilasciando i gas
frammisti al magma in maniera molto agevole ancor prima della fuoriuscita dai
crateri, scorrono senza troppi ostacoli lungo i condotti interni. I rischi per
lo più risiedono nei danni che le lave stesse possono arrecare alla natura e
alle strutture civili scorrendo lungo i pendii. A partire
dagli anni novanta, viceversa, a questo classico genere di eruzioni si
stanno anche accompagnando sempre più spettacolari attività esplosive, i
cui effetti più vistosi sono le nubi di cenere che ricadono sulle zone abitate
dell'area etnea e che finendo anche alle alte quote, riescono a raggiungere
anche aree distanti del Mediterraneo, costituendo tra l'altro anche un serio
rischio per i motori degli arei di linea. (cfr. Colombo F. - Cenere vulcanica: un
rischio per l'aviazione !)
Secondo i ricercatori l'aumento dell'attività esplosiva potrebbe essere il
segnale di un mutamento delle sorgenti di
alimentazione dell'Etna. Il magma eruttato dal vulcano normalmente è sempre
stato di origine profonda, proveniente cioè dal mantello fuso al disotto della
crosta terrestre, ad una profondità di 30 Km, sostando
verticalmente in almeno 3 diverse “camere magmatiche” (alla profondità
rispettivamente di 13 km, 5 Km, ed in una direttamente alla base del vulcano)(cfr.
Agnesi V. - Vulcani attivi: l'Etna). Ultimamente tuttavia i
vulcanologi hanno notato un mutamento nella composizione chimica delle lave
eruttate, cosa che fa supporre che il magma stia cominciando a provenire anche
dai margini di zolle tettoniche (ad esempio quella africana) compresse e fuse
da quelle sovrastanti (euro-asiatica, ecc.). Poiché questo genere di magma
durante la sua risalita rilascia meno facilmente i gas che contiene,
questi ultimi erompono violentemente in prossimità del cratere, al diminuire
della pressione, con tutti i potenziali pericoli che ne conseguono. Un segnale
di questo mutamento potrebbe essere costituito anche dalla ricorrenza, a partire dal 1995, di un fenomeno che in passato era
praticamente assente, e cioè la formazione di piccole nubi ardenti
(piroclastiche) composte di ceneri e gas che ricadono a velocità molto elevata
sui pendii in prossimità dei crateri alle alte quote. Le nubi piroclastiche
sono tipiche delle eruzioni vulcaniche di natura esplosiva ed
ovviamente costituiscono una ulteriore forma di pericolo per le persone. Anche
se al momento quelle osservate sull'Etna sono troppo
piccole e troppo lontane dai centri abitati, esse tuttavia potrebbero
costituire un pericolo per i turisti, e secondo i vulcanologi si dovrebbe
impedir loro di avvicinarsi troppo ai crateri nel corso delle eruzioni. (cfr. Behncke
B. - Hazards from pyroclastic density currents at
Mt. Etna (Italy); INGV – La sorgente di alimentazione dell'Etna sta
cambiando; Studio INGV.
Etna: resta un vulcano buono ma è cambiato).
E' stato notato dai vulcanologi in questi ultimi anni anche un sensibile aumento della percentuale di vapore acqueo emesso
durante le eruzioni, frammisto ai gas e alle ceneri, segno che una maggior
quantità di acqua rispetto al passato riesce a raggiungere il magma tramite la
permeabilità degli strati lavici. Le misurazioni effettuate sui gas e sulla
temperatura del suolo nell'area etnea durante gli ultimi 3
anni hanno rivelato emissioni anomale (principalmente di anidride carbonica e
vapore acqueo) lungo alcune strutture tettoniche del vulcano anche durante i
periodi fra un'eruzione e l'altra. Queste fanno supporre l'esistenza di
costanti flussi idrotermali a livello superficiale, connessi con i principali
condotti magmatici dell'Etna. In base allo stesso principio, ma all'inverso, i
magmi rilasciano nelle acque di scorrimento notevoli quantità di anidride
carbonica prima delle eruzioni, come dimostrano le misurazioni dei gas
disciolti nelle falde acquifere prima delle eruzioni del 1991-93, del 1999,
2001 e 2006. Anche la pressione interna dell'Etna nelle fasi pre-eruttive potrebbe quindi aumentare a causa delle
infiltrazioni di acqua (che diventando vapore aumenta di volume) prima di
scaricarsi all'esterno sotto forma di eruzioni potenzialmente più violente e
dar luogo anche alle temute nubi piroclastiche, come accaduto
in maniera spettacolare in occasione dell'eruzione del novembre 2006. (cfr. Bellomo, S., Brusca L.,
D'Alessandro W., Longo M. - Monitoraggio geochimico delle falde acquifere etnee; Alparone S., Andronico D, Giammanco S., Lodato L. - A multidisciplinary approach to detect
active pathways for magma migration and eruption at Mt. Etna (Sicily, Italy)
before the 2001 and 2002-03 eruptions; Dellino
P., Kyriakopoulos K. - Phreatomagmatic
ash from the ongoing eruption of Etna reaching the Greek island of Cefalonia).
Va da sé
naturalmente che l'aumento della pressione interna ed
il mutamento in senso più violento ed esplosivo delle eruzioni potrebbe fornire
in futuro anche un ulteriore contributo – difficilmente quantificabile - alla
“spinta” che riceve il traballante fianco orientale nel corso di ogni eruzione,
concordando con quanto affermano unanimemente tutti i ricercatori che il
sistema Etna è altamente instabile. Nella peggiore delle eventualità si
potrebbe anche ipotizzare un tale indebolimento nella coesione della parete
orientale, da poter cedere improvvisamente in conseguenza della pressione
magmatica interna o di una potente eruzione esplosiva sullo stesso versante,
come accaduto ad esempio secondo una simile dinamica al vulcano statunitense
St. Helens, nella primavera del 1980. Curiosamente, dai più recenti studi
effettuati nella Valle del Bove e nella zona del Chiancone,
sul litorale nord di Catania, sembra proprio sia stata questa la causa
dell'enorme collasso laterale che 8000 anni fa diede origine al catastrofico
tsunami nel Mediterraneo Orientale: potrebbe ripetersi di nuovo un domani ? (cfr. Calvari
S., Groppelli G. - Relevance of the Chiancone volcaniclastic deposit
in the recent history of Etna Volcano (Italy); Behncke B. - Morphologic features: The Valle
del Bove).
Altro articolo
sull'Etna: "L'ira
del dio del mare": lo tsunami provocato dall'Etna 8000 anni fa e la città
sommersa di Atlit-Yam.
Bibliografia.
INGV, sez. di Catania – Evoluzione geologica del Monte Etna – in: www.ct.ingv.it
INGV, sez. di Catania - Geologia
strutturale
AA.VV. - Etna: il contesto geodinamico – in: www.Cataniaperte.com
Azzaro, R. - Faglie attive nell'area etnea – INGV –
in: www.ct.ingv.it
Azzaro R., Mattia M., Puglisi
G. - Creep
e cinematica del segmento orientale della Faglia Pernicana (Monte Etna):
integrazione di dati geodetici e strutturali. - GNGTS,
Atti
Bonforte A., Branca S., Palano M. - Transpressive kinematics in volcanic active areas:
the case of the Pernicana Fault System (Mount Etna, Italy), inferred through
geological and geodetic data