L’Innominato e la Monaca di
Monza di Enrico Pantalone
Due dei personaggi
a mio giudizio più interessanti e meglio riusciti dei Promessi Sposi di
Alessandro Manzoni sono senz’altro quelli dell’Innominato e di Gertrude, la
Monaca di Monza.
L’Innominato è un
nobile che vive solitario con la sua gente in un inaccessibile maniero
dominando le terre circostanti e imponendo una dura legge in alternanza tra il
male e il bene, evita soprusi palesi nel suo dominio amministrando la giustizia
in maniera corretta ma nel frattempo incoraggia e sovvenziona dei “bravi” a
compiere scorribande e nefandezze in altri territori circostanti, soprattutto
mette il suo potere a disposizione di nobili senza scrupoli rappresentati
ottimamente da Don Rodrigo.
Gertrude, la Monaca
di Monza, è una nobile d’alto lignaggio, fin da piccola è avviata alla
“carriera” di clausura come si conviene in ogni famiglia aristocratica del
tempo, non potendo pretendere di poter usufruire del patrimonio famigliare,
essa diventa così tra mille tribolazioni psicologiche, una badessa del convento
come se in realtà essa addivenisse al titolo di “duchessa”,
il suo convento funzionerà quindi come un maniero, come un feudo, dominato
dalla sua superbia e dalla sua violenza
psicologica imposta al “resto dell’umanità” per diritto divino.
Non voglio
addentrarmi in questo testo nella disputa letteraria sul come e sul perché il
Manzoni abbia costruito questi personaggi, sulle sue finalità religiose da
interpretare e nemmeno sul sentimento che essi abbiano diffuso, piuttosto
vorrei farli vivere come se uno di noi avesse la possibilità d’incontrarli e
valutarli, vorrei considerarli nel loro ambiente sociologico, nei loro rapporti
abitudinari e nel loro modo d’agire di tutti i giorni.
Entrambi i
personaggi hanno al loro fianco qualcuno che vive con loro quotidianamente e che divide tempo ed
azioni consuetudinarie.
Nel caso
dell’Innominato emerge la figura del Nibbio, fedele braccio destro del suo
signore, incapace di pensare diversamente da lui, ligio nei suoi doveri e
perfetto direttore della comunità e della vita nel castello.
Nel caso di
Gertrude è la figura di Egidio a farla da padrone, egli è un torbido individuo
manovratore della mente della monaca facendo leva sugli istinti sessuali più
primitivi dell’uomo, sulla sua bellezza che seduce e affascina la donna e la
rende schiava d’ogni vizio riprovevole nonostante la tonaca o forse proprio per
rifiuto della stessa.
Così a loro è
comune anche un intrattenimento (subito, non voluto) con Lucia, la quale si
comporta nell’identica maniera con entrambi, attraverso l’unico modo che poteva
e doveva utilizzare, quello dell’appellarsi ai valori della dignità umana,
della dignità morale e all’etica che l’Innominato e
Gertrude dovrebbero incarnare nei loro rispettivi ruoli sociali, lo fa cercando
una compassione che fino a quel momento le è negata nonostante le sue virtù
siano note a tutti.
L’Innominato cede,
Gertrude no, in realtà tutto il mondo che gira intorno al signore del maniero
solitario sembra vivere le stesse angosce: bravi, contadini, servitori fanno a
gara per far notare all’Innominato che Lucia è una vittima del sistema, i suoi
lamenti toccano quella brava gente che comprende la sventura di chi è meno
fortunato rispetto a loro, l’adottano perché essi
stessi vogliono che si respiri un’aria nuova, vogliono che ci si apra di più al
mondo, sanno d’essere fortunati e pensano di poter dividere la loro fortuna con
altri, Lucia è il mezzo con cui fanno sentire il loro parere al signore.
L’Innominato
certamente si rende conto del vociferare, egli vive intensamente il contatto
con tutte le persone che vivono intorno a lui, già di per sé aveva una mezza
idea di cambiar vita ma non ne sentiva ancora la necessità, Lucia fornisce la
ragione che per lui diventa illuminazione.
Diventa così significativa
la “resa” all’unica autorità competente che lo stesso Innominato riconosce al
di sopra di lui: il Cardinal Federigo Borromeo, infatti egli non ha mia
abbandonato la chiesa ufficialmente né deve ritenersi un converso,
semplicemente nel bailamme di quel tempo egli sa che l’unico vero “potente” è
Federigo, lui e solo lui che l’Innominato considera al suo pari in fatto di
forza e coraggio può essere la persona che lo aiuterà nella nuova vita.
L’Innominato è una
classica figura dell’hidalgo spagnolo vestita su una corpo tipico della nobiltà
rurale della Lombardia seicentesca, molti appartenenti ad essa scimmiottavano
gli austeri ed etici nobili castigliani del tempo senza averne la concezione
tragica della vita (rubo la citazione a Indro Montanelli ed alla sua Storia
d’Italia), l’Innominato è l’unico in tutto il romanzo del Manzoni a comportarsi
come loro, rimane serio ed etico sempre, in ogni momento, forse troppo alcune
volte, tranne al momento del discorso alla sua gente.
In questo caso l’Innominato
parla in maniera pragmatica, ma mai c’è ombra di superbia nelle sue parole,
egli spiega la situazione, come avverrà il cambiamento cui tutti peraltro
aspirano, cosa comporterà e quali prospettive soddisferà, egli non vuole tenere
nessuno con la forza, anzi promette di dare benefici finanziari notevoli e
altri supporti a chi non volesse aderire alla sua proposta e restare con lui,
non c’è beneficenza in quest’atto solo un regolamento ufficiale degli accordi
con tanto di bollo, perché subito dopo la firma si dovrà allontanare dagli
altri e mai più tornare.
Le parole sono
chiare e il primo a schierarsi al suo fianco è il Nibbio e non poteva essere
altrimenti, forse era anche la sua grande speranza tenuta nascosta
pazientemente, e poi via via tutti gli altri, sicuri e felici, probabilmente
nessuno accetterà d’andarsene, qualcuno magari lo farà per la sicurezza delle
mura, altri perché profondamente toccati dalle parole del loro signore.
Gertrude si pecca
inizialmente di voler difendere e mantenere sotto la sua protezione Lucia, la
considera sin da subito una serva, un balocco su cui può far prevalere tutta la
sua alterigia sociale, non le interessa in realtà che la giovane sia felice, ma
che all’esterno delle mura del convento si sappia che è sua e che nessuno può
pretendere nulla con lei, la potenza della sua posizione nobiliare, della sua
famiglia incute timore a Don Rodrigo che si sente evidentemente impotente a
sfidarla sul piano della forza, così egli ricorrerà a mezzi molto più sottili e
meschini per avere Lucia, passando attraverso la lussuria peccaminosa che
permea l’anima di Gertrude, la quale convive con Egidio in un angolo nascosto
ai più del convento e dove tutto è lecito e, dove la Badessa cade nei più bassi
abissi della perdizione e della perversione pur d’avere il corpo dell’aitante
amante.
Come la gente
dell’Innominato faceva a gara per aiutare Lucia e per avvertire il proprio
signore tanto le sorelle del convento negano alla giovane ogni aiuto coprendo
la losca tresca della loro Badessa/Duchessa, per paura, perché anch’esse
provengono dalla nobiltà e stringono un
muro di mutuo intendimento, perché anch’esse nei parlatori agiscono in maniera
non certamente religiosa, tutt’altro.
Quando Gertrude
cede a Egidio che propone il rapimento di Lucia, Gertrude vende sostanzialmente
la sua schiava preferita, lo fa perché dal corpo di Egidio non riesce più a
staccarsi e considera la richiesta perpetrata ai danni della giovane e
sventurata contadina come inevitabile: una contadina non può permettersi di
rifiutare un nobile aristocratico che chiede le sue grazie, non è colpa della
Badessa se Lucia è nata povera e non può difendersi, Gertrude dimentica cosa
rappresenta e cosa dovrebbe realmente fare per dare lustro al suo mandato
“spirituale”, ma Lei a quel posto è stata destinata da sempre non per aiutare
il prossimo, ma per nobilitare ancor più la sua famiglia.
Non può aiutare,
non ne ha le capacità, non ne ha l’umiltà, non ne ha la forza morale ed etica:
è una donna, circondata da altre donne con le sue stesse caratteristiche,
logico che in esse prevalgano sempre la vanità ed il desiderio d’apparire
diverse da come nella realtà esse sono, sono tutte complici del peggior
assassinio compiuto nel convento e tutte tacciono all’unisono, perdute per
sempre sotto una coltre d’ipocrisia
mascherata da perbenismo e da gentilezza di facciata, esse rappresentano un
tratto della società decadente di quell’epoca.
Mentre l’Innominato
vede Dio e lo cerca disperatamente proprio attraverso il favore concesso a Don
Rodrigo, vede la sua debolezza nei confronti della società che gira intorno a
lui, il suo mondo, la disapprovazione per il gesto del rapimento di una
fanciulla contadina e povera che nulla può opporre se non la sua virtù
interiore, Gertrude effettua
l’operazione contraria, s’allontana da Dio proprio permettendo che nel
suo regno, nel suo convento, nel suo ducato, si celebri il ratto ignobile, una
donna perduta nonostante i voti, non c’è pietà per il suo atteggiamento, né
rivalsa della società, ella chiude la sua vita senza virtù né etica senza che
nessuno la degni più d’uno sguardo, continuerà a praticare la perdizione
dell’anima fino alla fine dei suoi giorni.
L’Innominato non è
un vincitore, l’approdo alla società civile e al buon vivere non è da
considerarsi fondamentale nel contesto del romanzo,
egli è però un uomo ritrovato che ritorna a vivere tra la gente comune
condividendone i problemi quotidiani, resterà sempre un nobile, ma lo sarà come
gli austeri castigliani, diventerà un hidalgo lombardo, metterà da parte
protervia e superficialità di lignaggio e disporrà i suoi averi affinché ne
possano beneficiare tutti, non chiede il perdono sic simpliciter, egli sa di
aver agito male in precedenza, sa che non gli basterà la vita per far
dimenticare le prevaricazioni compiute, egli cerca quindi di riparare per
quanto possibile senza nessuna pretesa ed è per questo che alla fine egli emana
positività, la sua gente è stretta intorno a lui perché sa che può ricevere
conforto ed aiuto anche in momenti difficili, del resto Lucia lo abbraccia idealmente
quando lascia il suo castello, per prima ha capito che di lui si potrà fidare,
che per la prima volta si sentirà protetta, che probabilmente nulla dovrà più
temere, Lucia vede nell’Innominato un uomo diverso.
Gertrude e l’Innominato
sono due personaggi all’apparenza simili, superiori intellettualmente alla
media degli altri personaggi del romanzo, con esclusione del Cardinal Federigo
Borromeo che non ha rivali da questo punto di vista, ma nascondono due
caratteri fondamentalmente diversi, la prima ricerca sempre disperatamente
l’approvazione del suo mondo, il secondo è fondamentalmente un solitario,
arcigno, sicuro di sé, entrambi commettono molti errori nella vita, ma Gertrude
non riesce a staccarsi mai dal trend quotidiano che la fa cadere ogni giorno
più in basso nella qualità della vita, invece l’Innominato ipso facto decide di
cambiare e lo fa partendo dal basso, traendo forza dalla sua gente con la
stessa intensità di quando pretendeva devozione assoluta anche se per cose
malvagie.
Due personaggi
contorti, difficili, fuori dal comune, due personaggi che evidentemente bene tratteggiavano alcuni luoghi comuni della nobiltà di quel
tempo a Milano ed in Lombardia, personaggi d’una società che era quasi spenta
culturalmente ed istituzionalmente e che rimase così almeno per un altro
secolo, quando a liberare le menti subentrarono al governo gli austriaci, altra
gente rispetto agli spagnoli.